Capitan Scoreggia e il mare
Da tempo immemore
non sgranchisco il femore
solcando il caro mare
che vedo naufragare.
Ormai in balia di sé stesso,
come un marinaio in piedi sul bompresso,
anche il mare non sa più
dove andare.
E come può fermarsi a riposare?
Come si può rimpiazzare?
Dove può rifugiarsi?
Dopo così tanto dondolarsi,
è normale che sia stanco.
Mi chiedo però come potrebbe stare su un fianco
a sonnecchiare, mentre intanto,
in sottofondo il canto
di aiuto delle sirene
si confonde con quello delle focene,
dei ricci, dei coralli, degli abissi
tuttə a rischio apocalissi.
“Caro mare, dimmi cosa ti prende:
la tua fissità è quanto ci attende?”
“Capitano mio, fratello e padrone,
da tempo, dalla mia posizione,
osservo quanto accade oltre le sponde,
i faraglioni e le scogliere profonde.
Non amo più quell’uomo che trascura
ogni essere, anche la più minuscola creatura.
La Luna1 è per me sorella
perché, se lei specchia gemella
la luce del sole, io rifletto
l’immagine umana e il suo intelletto.
Quella era invero l’energia
che spingeva la perenne onda mia:
avere la possibilità di rimandare
la bellezza vostra come fossi io mare.
Qui a te confesso
che mi vergogno di me stesso
quando dalla mia natura costretto,
quello che vorrei inghiottire proietto:
ormai da parecchio tempo
il senso del comportamento
dei tuoi simili non capisco,
e ora, esausto, il mio moto finisco.”
“Se puoi ancora sentirmi, caro mare immobile,
scappa: chiedi alla Luna, tua sorella nobile,
di issarti a lei con un’esagerata marea
e porre fine a questa tua odissea.
Da Capitano quale sono
questa Terra non abbandono.
Seppur relitto che più non galleggia,
resta la nave preferita di Scoreggia”.
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Agnes Giberne, The Story of the Sun, Moon, and Stars, Cincinnati: National Book Company, 1898 - publicdomainreview.org. ⇑